Andrea Romanello

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Andrea Romanello's Art
Andrea Romanello's Technique
Critics
Elena Guerini
Alessandro Togni
​Dario Trento
Exhibitions
Foto
Andrea Romanello was born in Cles (Trento). He’s graduated in Painting at the Academy of Fine Arts of “Brera” in Milan. Lives and works between Italy and Berlin.

"Ciò che non si deve dire": la pittura di Andrea Romanello

Non è così scontato che la ricerca estetica, l’opera d’arte sia posizionata dentro le trame dell’attualità come avviene in questa operazione comunicativa di Andrea Romanello. Subito ci si trova a dover partecipare alla lotta nella volontà di comprensione, non solo dei contenuti prossimi ad essere almeno avvertiti, data la loro completa aderenza alla quotidianità, ma anche si intende la necessità di acquisizione delle forme che, per loro stessa natura simulano una verità, nascondendone quantomeno un’altra. Siamo nel regno dell’immagine pure se numerosissimi significati ed attrezzature concettuali vengono sottese proprio nella loro stessa rappresentazione.
E il dubbio, di stare ad osservare una galleria di ritratti solo in parte fagocitati “dal potere”, o essere di fronte ad una completa forma di ideologia che utilizza specifici simboli visivi per rendersi più concreta e tangibile, ci prende di soprassalto.
La natura essenziale della pittura di Andrea Romanello, il suo atteggiamento analitico posto prima di tutto in forma di canone per la definizione dei dati scientifici, solo successivamente nelle eventuali marcature creative, proviene dalle pieghe antiche del Rinascimento, supera le intenzioni astrattiste poste in essere dal ‘900 iconoclasta, per trasferirsi in una nuova ed allarmante condizione figurativa in cui l’oggetto visivo viene posto sotto la lente critica della ‘moralità’.
Il dato classico che si evince dalla predisposizione all’osservazione quasi precipuamente fotografica, la condizione d’essere dell’artista stesso mentre trascura aspetti dedicati alla decorazione per trasferire le sue intenzioni esclusivamente sopra le tavole degli altipiani del pensiero. Una disposizione assorta a rinvenire oltre al visibile tutto il magma indecifrabile dell’elemento nascosto dietro le maschere della fisicità, del simulacro.
Già dai primi studi si svelano le inclinazioni ultra figurative per un racconto visivo costruito nella consapevolezza che la pittura diventi eccitante quando scopre aspetti totali della realtà, non certo solo le effimere sfumature della decorazione utile principalmente a rendere consolatoria la stessa azione artistica. Mentre Michelangelo si accosta alla “Pietà Rondanini” certo non indugia sopra stilistiche che concedono tregua al suo personale dilaniamento, ma adopera la sua concentrazione, la potenza del dolore, per una manifestazione dell’essere in linea con tutte le implicazioni date dalla sua scultura.
Il segno della densità psicologica attraversa anche le iniziali opere di Andrea Romanello che, memore delle intenzioni drammatiche michelangiolesche dedica sì, attenzione all’ordine formale risoluto attraverso una grafica manifestamente puntuale e rigorosa, ma anche dispone per una compensazione per così dire contemporanea attraverso la manipolazione e la distorsione del segno.
Lo “studio Picasso”, ad esempio, lascia intendere una clamorosa veridicità del ritratto giovanile del genio spagnolo, ma tuttavia come se l’andamento totalmente figurativo del disegno appena eseguito non riuscisse a soddisfare le esigenze “moderne” dell’autore, ecco un flusso vorticoso di linee biancheggianti porsi a disturbo, per una visibilità comprensiva non soltanto del visibile ma anche dell’elemento ignoto.
Peraltro il modulo classico della rappresentazione assume tutte le forme più riconoscibili, imprime senso e giustezza anche attraverso l’utilizzo della tecnica più tradizionale come il disegno chiaroscurato e indica la volontà dell’artista di non approfittare di strategie atte a distogliere vigilanza alla propria coscienza. Un ritratto quindi, quasi convenzionale se non fosse che questo “omaggio al maestro” proviene dalle sfere più nascoste dell’autore, il quale non si impaurisce se per una scelta quasi marziale si dispone a non seguire le evoluzioni proprio indicate da Picasso attraverso la scomposizione cubista dell’immagine.
Sembra che il tempo non sia trascorso, che il ‘900 astrattista privo di facoltà narrative non abbia avuto peso sull’opera di Romanello, ed ecco quindi ancora una volta, nella sua forza neoclassica il volto diviene soggetto magnetico, traduttore di folgorazioni scatenate dietro le quinte, luogo dove veramente si magnificano le idee e la vita stessa.
Michelangelo prima, Picasso poi ed ancora ad approssimarsi alle coscienze dei nostri giorni la contrastata personalità di Francis Bacon, dal quale giungono tutte le trasformazioni disorganiche della figura.
Ecco un ulteriore dedica di Andrea, quella gettata attraverso un altro ritratto all’artista della “decomposizione”, il sofferto inglese postosi ai margini della più riconosciuta via dell’espressionismo astratto in voga durante gli Anni ’50, diventato invece segnalatore di un duale modo di esprimere le tensioni e i disastri della contemporaneità umana attraverso la formula della sintesi figurativa come esperienza visiva attigua alla drammatizzazione.
“Studio Bacon” si verifica quindi sopra fondali caravaggeschi dove le ombre sono padrone, dove gli squarci della luce sono solchi che invadono le linee del viso, maltrattandolo.
Pare quello proposto da Andrea la riproposizione di un seicentesco autoritratto di Rembrandt, il volto dove si assommano le concrezioni materiche, dove la carne macilenta inizia a cedere sotto i colpi del tempo e della gravità.
Così viene quindi applicata proprio la lezione baconiana, per la quale tutte le cose abitate dal sangue, variamente e di tanto in tanto, risentono di azioni verso la decomposizione, pure che il cervello rimanga eroicamente legato a qualche condizione che preveda il perdurare dello stato dell’arte e l’intenzione dell’infinitamente rinviabile.
E la cosa da non rendere applicabile è proprio la morte, il decadimento delle funzioni materiali, l’abisso nel quale siamo inesorabilmente attratti, una forma di evacuazione come si trattasse della stella ingoiata dentro l’insondabile massa invisibile del buco nero.
A seguire, per rendere preciso il riferimento artistico e le influenze più certe, ecco un terzo ritratto particolarmente iperreale, quello dedicato a Damien Hirst, altro artista inglese, quarantatreenne in grado di stimolare l’ambiente della pittura contemporanea proprio attraverso dichiarazioni logico/illogiche come questa: “L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo”.
Strategie e rimandi ai capisaldi della pittura per una verifica delle ulteriori possibilità che la pittura stessa può produrre all’interno delle dinamiche del contemporaneo.
Andrea Romanello quindi, accettando nella sua ricerca anche la tensione di Hirst ha da subito esplicitata la vocazione all’analisi, all’osservazione senza preconcetti, al superamento del classico, pure rimanendo sostanzialmente in ambito quasi esclusivamente figurativo.
Una versione interpretativa della pittura in linea con la valutazione che, l’astrazione, alla fine non sia altro che una manifestazione ancora troppo vicina all’estetismo di estrazione romantica, mentre la figurazione, proprio per una sua facoltà oscura, abbia da essere considerata la riproduzione più consona alle movimentazioni del mondo contemporaneo.
Proprio Damien Hirst ha esteso ulteriormente il concetto di figurazione occupando spazi con opere robustamente invasive e disturbanti dello spazio stesso: mucche imbalsamate deposte in box trasparenti invasi di formaldeide; sezioni di animali presentati come brandelli di vita catapultati in spazi utili al nostro vivere. Sono le stesse sezioni oggi rinvenibili nelle opere di Romanello, i tagli verticali anch’essi divenuti segno e codice per una verifica più accurata della quotidianità. Ma anche la decisa espressività di Jenny Saville, tutta intesa a trasferire nozioni visive inusitate sopra la tela: ecco le sale operatorie, la chirurgia estetica, gli ambienti-obitorio farsi largo nell’immaginario e prendere possesso delle nostre percezioni primitive.
Ecco come oggi l’artista ha modificato la sua funzione: oggi per riportare in auge il metodo della pittura è necessario inoltrarsi come indagatori, come cronisti e reporter dentro le situazioni e le macerie dell’umano, trascurando le sollecitazioni che in parte ancora la Natura ci elargisce per sviscerare dal profondo le azioni spesso in indole barbarica dell’uomo contemporaneo. La pittura diviene quindi strumento di rivoluzione sociale, attraverso una cospirazione di ordine individuale.
I volti riproposti come fotografie in completo bianco e nero assurgono ad icone e rappresentazione del malessere sotterraneo della nostra civiltà.
Gli studi, realizzati con grafite su carta sono più o meno fedeli ritratti di rappresentanti dello stato attuale della politica, della finanza e della comunicazione.
“Gli studi” nella loro ripresa frontale intendono rendere plausibile e riconoscibile le figure dei personaggi, ma allo stesso tempo vogliono trasferire nei connotati psicologici, tutte le implicazioni controverse della loro personalità, indicare come, attraverso una sorta di scheggiatura segnica si possa favorire la comprensione di un codice capace di suggerire alla nostra mente uno stato d’allerta.
Il volto quindi viene intensamente attraversato da escoriazioni tali da renderlo brutalmente avvolto in una maschera di cicatrici, fortemente lacerato dalle azioni della realtà, ”invischiato”.
Segni che procurano attrito e al nostro cuore arcaico inducono una verosimile paura come di fronte ad una malattia contagiosa.
E’ quindi sopra la pelle umana naturalmente liscia dove si inoltrano queste flagellazioni, perdite di colore dovute allo strisciare saettante della gomma, divenuta anch’essa strumento e soggetto portatore di contenuto, mentre viene lasciata proprio alla pelle la materia stessa della significazione.
Non solo i disegni, anche le tavole dipinte vengono attrezzate con l’azione disturbatrice data dallo stesso segno. I numerosi lavori scevri di qualsivoglia cromia che non sia il bianco e il nero, fortemente contrastati e “dannatamente immobili” vengono proposti come fossero veri e propri servizi d’informazione visiva, dove il senso di “reportage” da cronaca “grigia” appare dagli sguardi un poco assenti dei soggetti prescelti.
Ma, ad aggiungersi a questa deformazione apparentemente superficiale e di estrazione artistica ecco una seconda pratica tecnica di Romanello: la sezionatura a liste verticali del “quadro”. Una sorta di disagio della visione viene procurato a noi mentre stiamo osservando, ma ancora di più il gesto della scomposizione a fette impone al soggetto ritratto una inevitabile quanto chirurgica disamina non soltanto apparente e come se il volto fosse scandagliato da un’osservazione fredda, analitica, al fine di soverchiare gli eventuali “scheletri nell’armadio”, istantaneamente si avverte la possibilità di sviluppo verso la “verità”.
L’arte di Andrea Romanello ancora una volta si afferma come luogo e tramite fra passato e futuro: nell’immagine dal vero ritroviamo l’austerità della notizia, nella sua risoluzione finale dove sembra sia passata la mano attrezzata del bisturi, riconosciamo il brivido di un’operazione da laboratorio. Siamo ai confini dell’arte, in contatto diretto con le analisi ultra specialistiche, alla ricerca di una prova e in costante stato d’ansia astringente.
L’arte intesa come forma di abbellimento non appartiene ad Andrea Romanello e quindi in una implicita dualità ecco ripresentarsi il suo modello anticlassico, la volontà di non dare corpo semplicemente ad un “quadro”, possibile di locazione sopra i divani di qualche salotto, a riempire la parete, ma di manifestare attraverso il “quadro” una condizione riflessiva nei confronti delle cose pesanti che accadono fra e con gli esseri umani.

​Alessandro Togni - 2009

The world is no longer the one we knew. Our lives have changed for good. Maybe this is the opportunity to start thinking differently from how we've done till now, the chance to reinvent the future for ourselves and not just retread the same old path that's brought us to today and could lead us to annihilation tomorrow. Never has the survival of man been so much at stake.
- Tiziano Terzani -



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